Significati Narrativi e di Riflessività nelle Diagnosi

I Significati della Narrazione e della Riflessività nelle Diagnosi

Significati Narrativi e di

Riflessività nelle Diagnosi

Significati Narrativi e di Riflessività nelle Diagnosi è il titolo della mia tesi del corso di Laurea Triennale in Scienze dell’Educazione.

L’interesse ad approfondire e scrivere su questo argomento è partito da un’esperienza personale:

il cancro che colpì mio padre.

Con l’articolo precedente  “La Cicogna: narratrice di Biografie Pedagogiche”, ho cercato di dare un senso figurativo al Tempo che abbiamo trascorso, insieme, alle emozioni che abbiamo provato, al desiderio di capire il disegno della vita che ha costruito, andando alla ricerca di trovare, appunto, i Significati Narrativi e di Riflessività nella Diagnosi.

Questa curiosità è iniziata con la reazione e bisogno di mio padre, uomo creativo, di scrivere un libro sulla sua esperienza di malato oncologico dove si mise in conversazione e riflessione verso tutte le figure professionali che incontrava e lo curavano, andando in questo modo alla ricerca di quei Significati Narrativi e di Riflessività nella Diagnosi.

Riflettendo su questo suo bisogno rivolto alla conoscenza ed espressivo di un disagio, mi sono resa conto come ciò abbia favorito una maggior attenzione da parte dei medici verso:

la pluralità dei bisogni del malato,  fisici innanzitutto, ma anche psicologici, relazionali e sociali.

Le figure sanitarie potenziando la loro capacità di ascolto, hanno potuto correggere eventuali pregiudizi che potevano compromettere i trattamenti, e questo atteggiamento ha permesso che la sofferenza venisse liberamente vissuta e condivisa.

Diagnosi di Cancro, Narrazione nel Sistema Familiare

Ho iniziato questo argomento, con la narrazione da parte della Cicogna che dà il senso al nostro percorso di vita e in questo articolo affronto, con alcune riflessioni autobiografiche quando una diagnosi di “Cancro” scrive una nuova storia all’interno di un Sistema Familiare.

Non si può immaginare il concetto di Tempo senza esplorare il suo significato narrativo.

Ogni famiglia ha una sua peculiare Temporalità:

  • ci sono famiglie che vivono prevalentemente nel passato (lo vivono nostalgicamente, ritualizzandolo nel presente),
  • altre proiettate nel futuro (un giorno saremo, avremo, faremo, torneremo al paese),
  • altre, infine nell’eterno presente (tempo acromico) dove tutto avviene nel fare, dove non si sviluppa una narrazione.

La famiglia ha sempre una storia ed è come un organismo vivente (una delle metafore ricorrenti):

La Famiglia, Nasce, Interagisce con ciò che ha intorno e, Muore.

La Teoria degli Equilibri Punteggiati: la Crisi

Per esperienza posso affermare che in ogni Famiglia ci possono essere periodi (a volte anche lunghissimi) in cui c’è una grossa percezione di squilibrio, difficoltà, che si traducono in una parola: Crisi.

Nel modello della Crisi non c’è l’idea normativa della Famiglia, ma la Crisi è determinata da quel sistema.

Tutto ciò mi riporta alla Teoria degli Equilibri Punteggiati studiata durante il corso di Epistemologia:

questo modello permette di vedere il momento della Crisi, non come una fase che  privilegia la continuità, ma come un salto ad un altro livello.

La famiglia che era prima, diventa addirittura un’altra famiglia, un’altra organizzazione. La crisi diviene un momento di riorganizzazione sistemica per acquisire nuovi significati.

A questo modello, collegherei come esempio, l’evento inevitabile che, la famiglia  deve superare in caso di una malattia incurabile e conseguente morte di uno dei componenti.

Cosa succede quando la famiglia si avvicina all’evento della morte?

Avvicinarsi alla morte dell’Altro è come avvicinarsi alla propria morte.

Le cose assumono un altro Valore e metaforizzando la situazione, si potrebbe pensare che:

inizialmente possa calare un mantello su tutti membri della famiglia.

Esso ripara, ma anche, chiude: c’è un lavorio sotto quel mantello, tanto che ad un certo punto comincia a diventare stretto.

Alcune volte le persone malate rimangono, sole, sotto quel mantello.

Ma cosa succede se togliamo quel mantello?

Le persone iniziano a parlare e si confrontano, si dà voce alla “paura di morire”.

Si dà spazio ai ricordi autobiografici.

Si allarga lo sguardo sistemico e si riconoscono gli Altri con il loro dolore, ma anche con le  piccole gioie quotidiane che continuano ad esserci.

Ci si avvicina anche fisicamente, dando valore a piccoli ma importanti gesti come la carezza e il sorriso.

Il Principio di Incertezza

E’  anche vero che l’incontro con il Cancro fa saltare i progetti, brevi o lunghi che siano.

Induce una sorta di senso di disperazione e desolazione poiché introduce nel campo vitale il “Principio di Incertezza” (vivrò? quanto ancora? come?)  Tutto prima, era nella condizione “sotto controllo”.

L’idea probabilistica della morte, permeata di incertezza, ci è suggerita da due potentissime fonti di conoscenza:

a. i nostri sensi e il senso comune: S sappiamo che di Cancro si muore. Sappiamo anche che si vive. Ma questa informazione ha spesso un valore emotivo ridotto, meno pregnante, poiché non abbiamo alcuna garanzia circa le condizioni in cui “sicuramente” si può vivere di cancro;

b. la medicina: dalla quale traiamo non solo la speranza, ma anche, le informazioni. Queste informazioni ci dicono a priori che probabilità di vita potremmo avere per ogni tipo di tumore conosciuto.

Forse pochi di noi, sono a conoscenza delle informazioni mediche (con relativi pregiudizi) di tipo b. Tutti noi abbiamo conoscenze-pregiudizi di tipo a.

Può non essere vantaggioso aggiungere le conoscenze di tipo b a quelle di tipo a, poiché ciò aumenterebbe, con molta probabilità, l’incertezza, soprattutto per quei tumori per i quali la probabilità di sopravvivenza non è molto elevata.

Sogno di Vita, IO e il Cancro

Nella prefazione del libro “Sogno di Vita, “Io” e il Cancro” di Giacomo Macario (rimasto nel mio cassetto, incompiuto, dopo la sua morte) illustra molto bene tutti quelle emozioni come: l’imprevedibilità, la costernazione, la razionalizzazione, la volontà di guardare ad un futuro, di sfidare la malattia ritenendola qualcosa di esterna a lui.

Scrive:

L’atteggiamento di “convivere con il male”, che tutti cercavano di indicarmi come via d’uscita, non mi ha mai soddisfatto, anzi mi disturbava. Ho una personalità “dominante”, cioè una personalità che possiede come elemento caratterizzante, quello di modellare l’ambiente che lo circonda, superando quanto si oppone al raggiungimento dei propri risultati.

Questa volta però non avevo di fronte persone, ma un’entità diversa, un male forse inguaribile. Non mi si sarebbe potuto accusare di essere autoritario, prepotente con un essere non umano.

Potevo quindi esprimere tutta la mia capacità dominante.

Che sfida? Il mio IO era sempre lo stesso, potevo provarci!

Cosa fare? Proviamo a difenderci, dissi.

Come? Accettando la sfida innanzitutto, mettendo in discussione lo status quo, cioè mettendo in discussione il fatto che, chi mi stava vicino (familiari, parenti, amici e collaboratori) potesse vedermi, sentirmi, relazionarsi con me in modo diverso da prima, cioè come malato.

E ancora:

Dovevo far capire che il mio IO era sempre lo stesso. Non ero affatto cambiato, se non per un po’ di debolezza fisica.

Misi in discussione anche il fatto che il cancro dovesse o potesse essere vincitore nei miei confronti, se no, a cosa sarebbero serviti i medici, gli specialisti, le terapie che migliorano giorno per giorno, la mia stessa attenzione e volontà di utilizzare al meglio tutti questi strumenti? L’opportunità di verificare se, per lo meno fosse lontanamente possibile ottenere dei risultati positivi, non mi venne mai meno. Quindi concentrai ogni mio sforzo in tal senso.

In queste poche righe, possiamo comprendere, come i Significati Narrativi e di Riflessività nelle Diagnosi, in queste situazioni di Crisi danno vita a una sorta di “contesti di rinascita”, all’interno del quale  la nostra identità può mutare o sentirsi cambiata, almeno in parte.

Significati Narrativi nelle Diagnosi: Biografie Pedagogiche

Il progetto di scrivere un’autobiografia da malato oncologico includeva la partecipazione dello Staff Medico dell’Ospedale Sacco di Milano, ai quali avrebbe posto quelle domande che lui riteneva potessero nascere in chi viene colpito da una diagnosi di Cancro.

Il suo sguardo e ascolto, quindi, si rivolse verso le figure professionali come oncologo, psichiatra, personale infermieristico, nella figura della caposala, medico di famiglia, non tralasciando di interpellare anche quelle figure istituzionali che lavorano nel campo giuridico, etico, sociale, sperimentale.

Venni coinvolta nella lettura dei capitoli, che di volta in volta mi sottoponeva e grazie a quel percorso decisi di scrivere la tesi, con un’aperura a nuovi  e personali orizzonti.

Il libro è rimasto in formato bozza, perché nel momento in cui mi trovai a rileggerlo, dopo la sua morte, non riuscii ad elaborare un’evoluzione e quindi a portare a compimento la sua volontà che venisse messo a disposizione di altri malati oncologici e perché no, medici.

Oggi dopo 17 anni mi trovo qui a scrivere sul libro di mio padre, “Sogno di Vita,  “Io” e il Cancro,  uno dei suoi ultimi progetti in vita e chissà che non siano stati messi in atto i Significati Narrativi e di Riflessività nelle Diagnosi, per una Vita Nuova.

Gioco del Petit Onze

Concludo questo articolo con un gioco che ho fatto durante il corso di Pedagogia dell’Animazione (2004), dove sperimentai la libera scrittura e l’esperienza delle poesie surrealista.

Si chiama Petit Onze, perché è composto da Undici Parole. si deve cercare, l’undicesima, trovandola.

Ci si dispone con un animo rilassato, si lascia vagare la mente abbandonandosi al suo fluttuare. Può aiutare una buona musica. In questo vagabondare si acchiappa al volo una parola e la si scrive:

Creatività

si assapora questa parola come se fosse un dolcetto o un sorso di barbera. Lasciandola risuonare nelle profondità del cuore, del corpo, della mente. Si va in cerca di una coppia di parole, che segua il tema e l’atmosfera della prima:

forza della sopravvivenza

se le parole fossero state quattro, pazienza, si trasferisce la quarta nella parte seguente e si sviluppa il tema con una sequenza. Quindi scrivo quattro parole, rilassandomi, concentrandomi:

amore, r-esistenza, futuro lontano.

Chiudo con l’undicesima parola:

Morire!

e allora:

Creatività

delle idee

forza della sopravvivenza,

amore, r-esistenza, futuro lontano,

morire!

                                           A Papà

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