Il mio Nome è: Una Narrazione Identitaria

Il mio Nome è: Una Narrazione Identitaria

Porsi la domanda  “Il mio nome è una Narrazione Identitaria?”  Non è cosa da poco conto.

Questo articolo ha come obiettivo quello di rendere consapevoli quei Genitori che all’arrivo di un figlio devono fare la scelta del nome.

Per questo motivo bisognerebbe tenere presente che per quel  figlio e/o figlia  dal momento in cui riuscirà a  “comprendere”, partirà la narrazione identitaria del suo nome.

Durante il mio percorso universitario in Pedagogia mi venne, richiesto di scrivere la narrazione del mio nome e in quell’occasione, raccolsi la  testimonianza di mia madre che mi portò a rivalutare il senso del mio nome e il suo valore in una Narrazione Identitaria.

Per facilitarne la lettura e incuriosirvi, anticipo che ci sono due tipologie di contenuti narrativi che rappresentano il senso del mio scrivere:

Narrazione Identitaria sul mio nome Maria Adelaide (Autobiografia)

Narrazione Identitaria sul nome ereditato “Adelaide”  (Biografie Pedagogiche)

Perché come scrive Paul Ricoeur, in Percorsi del Riconoscimento pag.118

“Imparare a raccontarsi significa anche imparare a raccontarsi altrimenti.

Con questa parola, “altrimenti” viene messa in moto la problematica dell’Identità Personale associata al poter raccontare e raccontarsi.

Da qui si arriva al termine “Identità Narrativa”.

Maria Adelaide, un Nome ingombrante

Sin da piccola mi sono chiesta perché portassi un nome tanto difficile, strano e ingombrante: Maria Adelaide.

Il mio nome ha una narrazione che parte dalla tradizionale, tramandata dalle famiglie d’origine dei miei genitori: la nonna paterna si chiamava Maria, quella materna Adelaide.

A quell’epoca si usava dare il nome dei nonni, zii, avi.

Maria Adelaide è stato un nome scomodo da portare, insolito.

“Era il nome delle Principesse della Casa Reale di Savoia”

Questa era la spiegazione che i miei genitori ritenevano dovesse consolarmi, quando rivendicavo la stranezza del mio nome.

Difficile da pronunciare, troppo lungo, un nome che mi faceva sentire: già vecchia!

E’ stato storpiato in vari modi da quasi tutti i bambini e ancora oggi vengo chiamata, Ade, poco dopo che le persone mi conoscono.

Ho due nomignoli che ricordo con affetto (uno ancora in uso nella famiglia): il primo è Mardelaide (una scorciatoia? Penserete!)

Lo potrei, invece, definire un “errore creativo” (da “Il Libro degli Errori” di Gianni Rodari) datomi da un mio giovane amico di Torino, che l’aveva inventato.

Mardelaide evocava in me ilarità, simpatia e dolcezza, mi sembrava di essere una “marmellata”, da gustare con un pizzico di golosità, una marmellata di mirtilli!

Il secondo nomignolo è stato utilizzato dai miei fratelli che inizialmente mi chiamavano Mary, in onore di una prozia e della nostra discendenza italo-inglese.

In seguito sono diventata Haidi, come la famosa Heidi dei cartoni animati, solo che io l’ho sempre scritto:

Haidi con la “a”, anche qui ritorno all’errore creativo, segno di distinzione.

Ancora oggi, alle porte dei 60 anni, i miei fratelli, mi chiamano in questo modo, tanto che, capita che qualcuno pensi realmente sia il mio nome.

In effetti Haidi è un nome che ho “calzato” perfettamente: mi ci sono ritrovata, liberata da un peso, dal vecchiume, da un obbligo di compostezza.

Con questo nomignolo sono cresciuta da bambina, poi ragazzina e infine giovane, libera di muovermi, di correre per i prati, di fare il maschiaccio, con i miei quattro fratelli maschi!

Da adulta, ho acquistato la padronanza del mio nome originale, anche se, devo ammettere che spesso ometto il nome Maria (nome della nonna paterna) e invece prediligo il nome Adelaide che ho iniziato ad amare identificandomi in tante cose, con la nonna materna.

Oggi quando mi chiamano con il mio nome per intero, Maria Adelaide, mi stupisco e provo ammirazione per quella persona: mi rende valore, in una autentica identità.

Quanti di noi fanno attenzione all’Altro partendo dal conoscere il Suo Nome?

Trisavola Adelaide: Donna Inquieta, segna il Destino di un Nome

La prima Adelaide della nostra famiglia è la mamma della mia bisnonna, la mia trisavola.

La storia del nome Adelaide in famiglia nasce dai miei avi che erano i musici di Casa Savoia, dove questo nome era in uso.

Si può ipotizzare che la mia trisavola fosse “figlioccia di battesimo” della principessa Adelaide.

Ma partiamo dai suoi genitori: Adelaide, era figlia di Angelina Teja (famiglia nobile di Napoli) maestra di pianoforte e di Giuseppe Unia, maestro di Cappella di Casa Savoia.

Portarono al Mondo: nove figli, tra cui Adelaide, la settima, nata nel 1854.

Compiuti i diciotto anni, Adelaide si sposa per procura con Costante Caraccio, un giovane italiano che vive a Londra con la famiglia, proprietaria di una catena di alberghi e ristoranti.

I due giovani si conobbero quando Costante venne a Torino in occasione del ricevimento che si svolgeva in onore dei giovani italiani residenti all’estero e che portavano onore all’Italia, nel Mondo.

Successivamente Adelaide partì con una carrozza per l’Inghilterra, insieme alla sua balia.

Immaginiamoci, la scena di questo incontro e viaggio, sembra una trama di film dell’Ottocento.

Facendo una ricerca su internet ho trovato un estratto di un Censimento del 1881 dove viene descritta la composizione della Famiglia Caraccio.

Dall’unione tra Adelaide e Costante nasce, una bambina, Albertina (bisnonna) nel 1876 e l’anno successivo,  Attilio nel 1877.

Purtroppo una tragedia colpisce queste persone: Attilio, muore all’età di quattro anni.

Adelaide sente attorno a sé un’atmosfera di ostilità: le due cognate, zitelle, la ritengono responsabile dell’accaduto, si ammala e si dispera, il matrimonio naufraga.

Trisavola Adelaide e Bisnonna Albertina
Attilio Caraccio

Lascia la figlia Albertina e il marito Costante a Londra e parte per l’America.

Bisnonna Albertina ritrova la sua Mamma Adelaide

A cinque anni, Albertina si trova sola, con un padre distrutto e taciturno, due zie che le proibiscono di parlare della mamma, di nominarla, di amarla.

Lei sopravvive ad un clima così opprimente, si appassiona alla musica e inizia a suonare il pianoforte, ma così tanto, che dovevano chiuderlo a chiave (una volta i pianoforti avevano la serratura).

Albertina cresce nell’agiatezza: le scuole le frequenta a Parigi (nel Collegio “Fedeli e Compagne di Gesù”) in vacanza invece torna a Londra dalle zie, non più dal papà che nel frattempo è morto nel 1888 (Albertina aveva 12 anni) alla giovane età di 44 anni.

Albertina Caraccio – Adolescente
Necrologio Costante Caraccio

Questa bambina, diventa una bella ragazza e per anni non chiederà più della sua mamma, ma giura a se stessa che il giorno che fosse diventata grande sarebbe andata alla sua ricerca.

Compiuti i 21 anni, Albertina, torna in Italia a conoscere i parenti materni.

Qui conosce Madre Albertina, il Canonico Unia e il cugino primo, Angelo Unia, figlio di zio Casimiro, fratello di sua mamma.

I due si innamorano.

Per sposarsi chiedono il permesso al Papa.

Intanto Albertina continua a chiedere notizie di sua madre ai parenti italiani, ma anche in questo contesto trova resistenze nel parlarle.
Attraverso suo marito, Angelo, riesce a sapere che sua madre si trova in America.

Poco dopo, i contatti vengono finalmente instaurati e in seguito ogni estate Adelaide torna in Italia a incontrare sua figlia.

In America, Adelaide aveva fatto fortuna, si era risposata ma era rimasta nuovamente vedova. Era una donna sola.

Passarono gli anni e Adelaide, ormai anziana, decide di ritirarsi in Italia, presso la Casa di Riposo di Chieri (TO) contrattando con le suore di restarne ospite fino alla sua morte.

La mia mamma Augusta si ricorda bene il giorno del suo funerale (1940); lei aveva 4 anni.

Si ricorda la carrozza nera con sei cavalli ornati da fiocchi dorati.

In famiglia abbiamo una raccolta cospicua di album di foto di quel periodo e devo ammettere che questa narrazione ho avuto la fortuna di raccoglierla intervistando la mia mamma, ultima portatrice delle memorie familiari.

Ci vuole coraggio a raccontare la storia della famiglia e non è così scontato che ci si ponga in ascolto di queste narrazioni, perché siamo tutti proiettati a progettare il futuro, (io per prima).

Quando ascoltiamo le storie dei nostri antenati ci accorgiamo che alcune esperienze di ripetono.

Si ripercorrono “errori”, si anela agli stessi sogni!

Incredibilmente possiamo essere di nuovo attori di quella vita che ha lasciato una traccia e deve finire il suo percorso.

Donne che rimangono da Sole: un Destino che si ripete

Tornando al mio bisnonno Angelo, marito di Albertina, in origine era un incisore e suonava nella Banda di Don Rua. Con il matrimonio si cimenta come imprenditore e insieme ad un socio apre un magazzino di vendita vino Doc all’ingrosso.

Bisnonno Angelo Unia
Vini all’Ingrosso Angelo Unia 1898

Nasce il primo figlio Peppino e la seconda figlia Mary (1898).

Anche qui la storia si ripete tragicamente e Peppino, all’età di cinque anni muore, di meningite.

Albertina ha un esaurimento fortissimo, e non vuole reagire, ma rimane incinta della terza figlia che nascerà in questo clima tristissimo: Zia Ester.

Peppino Unia
Mary Unia
Ester Unia detta Esterina

Questa pro-zia, la ricordo benissimo: donna forte, intraprendente, colta (come tutta la famiglia), rimase nubile.
E’ importante nella mia storia personale in quanto porto anche il suo nome: Maria Adelaide, Ester!

Un nome, narrazioni identitarie e familiari, che si ripetono.

Bisnonna Albertina, diede alla luce dopo un parto difficilissimo, la quarta figlia: Adelaide (mia nonna, 1910).

Nonna Adelaide chiamata Addie
Nonna Adelaide

A quaranta giorni dalla nascita, Adelaide si ammala e rischia di morire.
Intanto siamo negli anni della guerra del 1915-1918 che porta alla morte il marito, Angelo.

Albertina e le sue tre figlie rimangono sole.

Nonna Adelaide: Donna che da una  Inquietudine Intellettuale costruisce una Sua Stabilità

Mary, dopo aver frequentato le elementari a Torino, viene mandata a studiare in Inghilterra, a Londra, nel collegio delle “ Fedeli Compagne di Gesù”, scuola già frequentata dalla sua mamma.

Ester e Adelaide invece frequentano lo stesso collegio, ma a Torino.
Adelaide entra all’asilo e vi rimane fino alla prima magistrale.

Quando arrivano all’età per frequentare le magistrali, alle due sorelle viene assegnata una borsa di studio in quanto figlie di un militare e orfane di guerra.

Escono dal collegio “Fedeli e Compagne di Gesù” per entrare in quello per le figlie dei militari: “Villa Della Regina” sempre a Torino.

Crescono tra donne, sempre in collegio, e possiamo desumere che abbiano relazionato poco con il genere maschile.

La nonna Adelaide non vuole andare a studiare in Inghilterra per cui l’inglese lo comprende, lo scrive ma lo parla solo con sua madre.

Mary ed Ester, invece, si laureano ad Oxford e al loro rientro in Italia diverranno insegnanti madrelingua inglese: anche se italiane, crescono con un’educazione anglosassone.

Nonna-Adelaide-21-anni

 

Adelaide è l’unica figlia  e sorella, che si sposa.

Paolo è un giovane di famiglia benestante, i suoi genitori sono proprietari di un albergo sul Lago Maggiore, a Meina.

E’ uno dei primi uomini della zona che possiede auto e moto, con cui scorrazza per le valli.

Nonostante la sua famiglia sia apolitica diventa un militare della milizia confinaria. Ha un carattere molto forte e ciò non collima con l’educazione “self control” radicata nella famiglia della moglie.

Ricordiamoci che sono quattro donne vissute sempre in ambienti femminili, non sono abituate a confrontarsi con gli uomini.

Paolo è “capo squadra” a Maccugnaga quando conosce le due maestre: Ester e Adelaide.

Gli sposi Adelaide e Paolo
28 Settembre 1932

Adelaide (la mia nonna) non sa cucinare, stirare, non è per così dire, una casalinga, ma è un’esperta lettrice, competente in teatro, poesia, ha in Sè una Inquietudine Intellettuale.

E’ sempre vissuta a Torino e con quel matrimonio si troverà a vivere, quasi sempre sola, a Maccugnaga (un paesino in montagna, zona Verbania), perché il marito è sul confine.

Il matrimonio sin dall’inizio si presenta difficile. La suocera Augusta (nome assegnato, alla mia mamma, altra narrazione identitaria!) il giorno delle nozze non è presente, perché anche in quell’occasione, madre e figlio litigano sul vestito da indossare.

Paolo si sposa in divisa militare e la mamma Augusta non accetta quella decisione.

Adelaide inizierà la sua vita coniugale con alcuni dispiaceri e nonostante uno zio cerchi di dissuaderla a sposarsi, lei irremovibile, va avanti per quella strada.

Anche Paolo è consapevole di quella grande differenza caratteriale e di intenti di vita, ma apprezza il coraggio di Adelaide, nell’uscire dalla sua linearità e determinazione e lui, uomo sicuro sulle sue potenzialità, alla fine capitolerà verso quel matrimonio.

Si sposano il 28 Settembre 1932.

Matrimonio di Adelaide e Paolo, al centro, Ester, la mia prozia.
28 Settembre 1932
Ritratto di Famiglia matrimonio Adelaide e Paolo.
Seduta, al centro Adelaide, la Nonna Tris e al suo fianco in piedi, la bisnonna Albertina.
28 Settembre 1932

Trascorrono gli anni e con la fine del fascismo, nonno Paolo, morirà nelle prigioni di Novara per una setticemia e Nonna Adelaide rimarrà vedova con tre figlie, a 46 anni.

Anche lei, come la mamma Albertina, trascorrerà la sua restante vita da sola, dedicandosi all’insegnamento e allo studio, trasferendosi subito dopo la guerra a Madonna della Fontana (To), successivamente a Chieri (To) e poi a  Torino.

Madonna della Fontana 1949 (Chieri, TO) dove nonna Adelaide ha insegnato per 20 anni.
Lì c’erano il Parroco, la Perpetua e la Maestra con i tre figli, tutt’attorno campagna e fattorie.

Un Nome: verso la Fine del suo Tempo

A questo punto concludo riproponendo la mia domanda:

Quanti di noi hanno riflettuto sul valore e quale sia la narrazione identitaria del nome scelto per i figli?

Dal giorno in cui mia madre mi raccontò la storia del mio nome, mi sono accorta di come tanti avvenimenti abbiano acquisito un Senso, quel disegno che descrivo nell’articolo “La Cicogna: Narratrice di Biografie Pedagogiche”.

Nonostante oggi abbia raggiunto una buona armonia con il mio nome, ho consigliato sia in passato, ai miei fratelli, che oggi a mio figlio di non tramandare il nome, Adelaide, auspicando che la sua narrazione identitaria, di Donne sole, termini con me. E’ importante spezzare le catene, poco virtuose.

Concludo questa narrazione identitaria del mio nome portando in luce alcune riflessioni che ho estratto da “Felicità condivisa nelle Costellazioni Familiari” di Bert Hellinger, partendo dalla domanda:

Chi mi manca?

La mia felicità è piena se tutti coloro che appartengono alla mia famiglia hanno un posto nel mio cuore.

Se qualcuno è stato escluso o dimenticato, io e la mia famiglia iniziamo a cercarlo. Sentiamo che ci manca qualcosa, ma spesso non sappiamo dove cercare.

Una tale ricerca conduce talvolta alla dipendenza, altre volte alla ricerca di Dio.

Sentiamo un vuoto e vogliamo colmarlo.

Se dentro di noi sentiamo che ci manca qualcuno, prendiamoci cinque minuti, chiudiamo gli occhi e diciamo:

“Ti vedo, Ti rispetto, Ti accolgo nell’Anima.

Immediatamente ci renderemo conto di sentirci più pieni e vicini.

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