Coraggio e umanità sono le due parole chiave che accompagnano l’intervista a mio fratello Gianluca, medico di pronto soccorso da oltre 13 anni. Questo articolo è il primo di tre parti, necessarie per raccontare una storia ricca e complessa, suddivisa in sei argomenti affrontati attraverso domande mirate.
Come nella precedente intervista a nostra madre, anche qui emerge il legame familiare, che arricchisce il dialogo mantenendo una prospettiva professionale. L’obiettivo di queste interviste è portare alla ribalta storie di persone che, pur non essendo celebri, hanno esperienze di vita significative e riflessioni preziose da condividere.
Ognuno di noi è portatore di scelte e vissuti, a volte difficili, che possono ispirare e offrire occasioni di connessione emotiva. Questi racconti vogliono valorizzare il potenziale umano, mostrando come ogni persona abbia qualcosa di Valore da Comunicare, anche attraverso momenti di sofferenza o scelte complesse.
Chi è Gianluca Macario: Coraggio e Umanità
Come è nata la tua scelta di diventare medico di pronto soccorso? C’è stato un episodio o un momento particolare che ha segnato questa decisione?
Il mio percorso verso la medicina è iniziato tardi, a quarant’anni. Prima lavoravo come dirigente aziendale e, contemporaneamente, dopo la laurea, svolgevo il ruolo di nutrizionista. Sebbene avessi successo, sentivo che mancava qualcosa. La professione di nutrizionista richiede conoscenze mediche, ma non si occupa delle patologie cliniche, quelle che curano i medici: l’ipertensione, il diabete, l’infarto, l’osteoporosi o l’ictus. Questo mi ha portato a pensare: “Ho preso una laurea in medicina, perché non sfruttarla per fare di più?”
La svolta è arrivata in un momento tragico. Durante un periodo in cui lavoravo come medico di guardia medica a Turate, ho vissuto un incidente in moto che ha coinvolto un ciclista, il quale purtroppo è deceduto. Anche se non avevo colpa, mi ha profondamente segnato. Non ero stato in grado di agire efficacemente, non conoscendo perfettamente le manovre di rianimazione. La rianimazione è fatta di pratica. Infatti, i soccorritori si mantengono in esercizio proprio per questo motivo. La dottoressa del 118 mi disse che il ciclista era insalvabile, avendo subito un trauma molto grave, ma questa mia incapacità fece scattare in me la molla per diventare un medico d’urgenza.
Dopo questo evento, decisi di prepararmi meglio. Nei due anni in cui rimasi medico di guardia, iniziai a lavorare sulla mia capacità di gestire le emergenze e, soprattutto, a non mandare subito tutti i pazienti in pronto soccorso. Valutavo, trattavo e monitoravo. Questo approccio attirò l’attenzione della direzione sanitaria di Como, che mi riconobbe come un medico capace di inquadrare le situazioni cliniche.
Poi, una mia amica, diventata direttrice sanitaria a San Donato, mi chiamò per un’opportunità. Anche se ero spaventato, accettai. Quei due anni di esperienza e l’idea di non essere stato in grado di agire in passato mi portarono a questa decisione. La medicina d’urgenza è diventata per me il modo di essere un medico completo, capace di affrontare le situazioni più critiche. La combinazione di esperienza, preparazione e il desiderio di affrontare le emergenze in prima linea è diventata il fulcro della mia carriera.
Coraggio e Umanità in un Campo di Battaglia
Se dovessi descrivere il tuo percorso in una parola o un’immagine, quale sarebbe? Perché?
Un campo di battaglia. Sebbene sia contrario alla guerra, questa immagine rende bene l’idea del lavoro al pronto soccorso. Ogni giorno affrontiamo situazioni caotiche, spesso disperate, dove i pazienti portano con sé le conseguenze di una guerra personale: contro una malattia, un incidente, o anche contro la propria fragilità. Noi medici siamo lì, senza armi, ma con tutto ciò che serve per salvare e difendere la vita. È questo che ci distingue dai soldati: loro distruggono, noi preserviamo. Durante il Covid, questo aspetto è stato ancora più evidente. Eravamo davvero in prima linea, raccogliendo i cocci, ma sempre con l’obiettivo di proteggere ciò che conta di più, la vita.
La Prima Notte in Pronto Soccorso: Vissuto ed Emozioni
Qual è stata la tua prima esperienza in pronto soccorso? Che emozioni hai provato quel giorno?
La mia prima esperienza in pronto soccorso è stata indimenticabile, un vortice di emozioni e sfide inaspettate. Durante un corso di psicoterapia, ci chiesero di raccontare un evento significativo della nostra vita professionale. Non ebbi dubbi: il mio primo turno in pronto soccorso rappresentava perfettamente il mix di paura, eccitazione e incertezza che avevo provato.
Ricordo che per un disguido, mi assegnarono un turno notturno anziché di giorno. Di giorno c’è sempre il supporto dei colleghi, ma di notte sei solo. Non hai un radiologo presente, i colleghi sono reperibili, ma lontani, e ogni decisione pesa completamente sulle tue spalle. L’ansia era tangibile, ma insieme ad essa avvertivo una strana energia che mi spingeva avanti.
La mia fortuna fu quella di incontrare un’infermiera straordinaria, una donna rumena con un’esperienza incredibile, formatasi in una scuola infermieristica di altissimo livello. Mi prese per mano e disse: “Dottore, non si preoccupi, segua le mie indicazioni e andrà tutto bene.” La sua calma e la sua sicurezza furono un’ancora per me. Mi guidò non solo nelle dinamiche tecniche, ma anche nel mantenere la serenità in un ambiente tanto frenetico.
Un altro elemento chiave fu il mio background informatico e aziendale. Grazie a queste competenze, imparai rapidamente a usare i software gestionali del pronto soccorso. Questo mi permise di risparmiare tempo prezioso nella parte burocratica e di concentrarmi sul paziente e sulle sue problematiche cliniche.
Quella notte non fu particolarmente impegnativa in termini di casi clinici, ma lo fu emotivamente. Ogni paziente che arrivava mi ricordava l’importanza del mio ruolo, e ogni decisione era carica di responsabilità. La lezione più grande che porto con me da quella notte è il Valore della collaborazione. Quell’infermiera è diventata una mia amica, e ancora oggi ci sentiamo. Mi ha insegnato che in pronto soccorso non si lavora mai da soli: la fiducia reciproca e il sostegno del team sono fondamentali.
La mia prima notte è stata una lezione di Coraggio e Umanità, che mi ha mostrato che il pronto soccorso non è solo un luogo dove si salvano vite, ma un posto dove si costruiscono legami profondi e indissolubili.
Valore dell’Esperienza v/s Titoli Accademici
Quali sono state le difficoltà più grandi che hai incontrato lungo questi 13 anni e come sei riuscito a superarle?
La difficoltà più grande? Confrontarmi con un mondo accademico che valorizza i titoli più del “fare davvero”. Mi sono laureato a 40 anni, mentre molti colleghi completano il percorso a 26, arricchito da specializzazioni e master. Questo ha rappresentato un gap che ho colmato con la pratica, recuperando in una velocità che definirei straordinaria.
Prima di laurearmi, avevo già maturato esperienze significative. Ho collaborato con ambienti iper-scientifici come la Micromedex, e pubblicato articoli su riviste mediche internazionali, tra cui il British Medical Journal. Una di queste pubblicazioni è persino diventata la mia tesi. Queste esperienze hanno rafforzato la mia base teorica, ma non hanno cancellato quel senso di inferiorità verso chi aveva seguito un percorso accademico più tradizionale.
Entrando in pronto soccorso, ho sentito il peso di questo pregiudizio. Alcuni datori di lavoro vedevano la mia età come una debolezza. Ma ho scelto di rispondere con i fatti: in 13 anni ho trattato circa 36.000 pazienti, con una media annuale tra i 2.700 e i 3.200, ben oltre la media nazionale. Il mio indice di dimissione è del 94%, un dato che riduce significativamente il carico sul sistema sanitario rispetto alla media nazionale del 90%.
Questi risultati dimostrano che, anche senza una specializzazione formale, sono un medico d’urgenza capace e produttivo. Nonostante talvolta mi senta in difetto rispetto ai giovani specialisti, molti di loro riconoscono il Valore della mia esperienza pratica e desiderano imparare da me. È un riconoscimento che ripaga ogni sforzo e riflette il coraggio e l’umanità che metto nel mio lavoro.
Alla fine, il confronto con un mondo che dà priorità ai titoli rimane una sfida. Ma è la pratica, la dedizione e i risultati concreti che fanno la differenza. E questi risultati, nel mio lavoro, li porto ogni giorno.
Coraggio e Umanità: La Verità Narrativa di Gianluca
Questo primo capitolo dell’intervista, “Coraggio e Umanità: da Manager a Medico d’Urgenza”, ci ha guidato attraverso le scelte e i momenti iniziali che hanno plasmato il percorso di Gianluca. La sua storia è una testimonianza di Coraggio nel reinventarsi e di Umanità nell’affrontare ogni giorno il pronto soccorso con dedizione e passione.
Per raccontarla, ho adottato il metodo delle Biografie Pedagogiche, basato su un ascolto attivo e una trascrizione fedele delle parole dell’intervistato, senza interpretazione. Questo approccio rispetta e valorizza la Verità Narrativa, quel sapere personale e condiviso che attraversa il tempo, preserva la memoria e l’autenticità delle esperienze umane.
Nel prossimo capitolo esploreremo le difficoltà e le sfide che Gianluca ha affrontato, scoprendo come ha saputo trovare equilibrio tra empatia, resilienza e pragmatismo.
Non perdere il seguito di questa storia di Coraggio e Umanità, che ti emozionerà e ispirerà.
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