Mese: Gennaio 2025

  • Tassisti a Milano: due Generazioni al Volante

    Tassisti a Milano: due Generazioni al Volante

    “Tassisti a Milano: due generazioni al volante” è la storia di Emilio e Fausto, padre e figlio. Fausto, in questa intervista, ripercorre le tradizioni familiari, i cambiamenti di Milano e le relazioni costruite durante il suo lavoro.

    Esperienzanarrata è sempre alla ricerca di persone autentiche che desiderano condividere la propria storia, donando così Valore alla loro esperienza di vita. In questo articolo, vi presento il vissuto di Fausto, mio cognato, che da ben 38 anni svolge il mestiere di tassista a Milano. La sua biografia non è solo uno spaccato interessante di questa professione, nata per rispondere ai bisogni della città, ma è anche un racconto di continuità familiare: Fausto, infatti, ha seguito le orme del padre dopo altre esperienze lavorative.

    L’intervista è costruita seguendo l’approccio delle Biografie Pedagogiche, che preserva il tono emotivo e il parlato autentico dell’intervistato. Questo metodo permette a chi si rilegge di sentirsi autore non solo del racconto, ma anche dello scritto stesso.

    Il lavoro della Biografa, in questo caso, è dare voce, con la scrittura, a chi si racconta.

    Data la ricchezza dei contenuti, questa intervista è stata suddivisa in due articoli. Ti invito quindi a leggere anche la seconda parte, dove il viaggio nel mondo dei tassisti a Milano continuerà tra storie, memorie e cambiamenti.

    Tassisti a Milano: Un Mestiere che diventa una Tradizione

    Quando hai capito che avresti seguito le orme di tuo padre?
    Cosa significava per lui fare il tassista e cosa ha significato per te raccogliere questa eredità familiare?

    Fausto: Guarda, non c’è stato un momento preciso in cui ho pensato: “Ok, voglio fare il tassista anch’io.” Però, sin da piccolo, ero affascinato dalla macchina di mio papà, dal tassametro, dagli strumenti a bordo. Ai tempi, non c’era tutta la tecnologia di oggi. Per esempio, c’era una paletta di ferro colorata che si avvitava sul tetto per segnalare i turni: verde per il mattino, rosso per il pomeriggio e bianco per la notte. Mi divertivo a riconoscere i colleghi dai colori dei turni mentre ero con lui. “Quello lì è di mattina, quello lì è di notte.” Era un gioco, ma già allora mi sentivo attirato da quel mondo.

    Crescendo, ho provato altri lavori, ma non funzionavano mai come speravo. Poi mio papà mi prospettò l’opportunità di provare a fare il tassista con lui. Era tutto più semplice allora: c’era la conduzione familiare. Il sabato e la domenica uscivo con la sua macchina. Per me era una gioia incredibile, come un gioco con una grande dose di responsabilità. Mio papà però era scettico. Mi diceva sempre: “Se prendi la licenza, devi tenerla per almeno cinque anni. Sei sicuro?” Lui non era convinto che avrei resistito, ma io lo ero. Amavo troppo questo lavoro.

    Dopo un paio d’anni di collaborazione familiare, ho deciso di fare il grande passo e acquistare la mia licenza. Ricordo quando andai con mio papà a parlare con un signore che la stava vendendo. La macchina era improponibile, ma la licenza era perfetta. Così, a 23 anni, nel 1986, ho comprato una Renault 18. Era intestata alla società di un famoso cantautore dell’epoca, pensa te! L’ho dovuta far verniciare perché non era del colore giusto, ma da quel momento è iniziata la mia vita da tassista.

    Questo lavoro è un po’ come un grafico della borsa: ci sono alti e bassi, ma alla fine il bilancio è positivo. Non ho mai sentito il bisogno di cambiare mestiere. Fare il tassista a Milano mi ha dato tanto, e tutto è iniziato grazie alla passione che ho ereditato da mio papà.

    Fausto, (25/04/1972) a soli 9 anni, sale dal lato del guidatore sul taxi del papà. Le passioni nascono osservando, ascoltando, imparando e ‘respirando’ il mestiere fin da piccoli, fino a farlo diventare parte di sé.
    Fausto, (1972) a soli 9 anni, sale dal lato del guidatore sul taxi del papà. Le passioni nascono osservando, ascoltando, imparando e ‘respirando’ il mestiere fin da piccoli, fino a farlo diventare parte di sé.
    Fausto- 1988 Primo Taxi
    Fausto- 1988 Primo Taxi – Renault 18

    Tassisti a Milano: La Radio Taxi e le Sigle Familiari

    Negli anni ’80 hai iniziato come tassista. Mi dicevi che tuo padre lavorava già, ma tu hai comprato una licenza diversa. Come avete gestito il lavoro insieme?

    Fausto: Sì, ho iniziato nell’86 e, di fatto, siamo diventati colleghi. Era una cosa strana ma bella. Ci prendevamo in giro, quasi come se fosse una gara. Lui mi diceva scherzando: “Come fai a fare tutti questi soldi?” e io, ridendo, gli rispondevo: “Dai, papà, dormi troppo!” Lui lavorava con la sua tranquillità, alla vecchia maniera, senza troppi cambiamenti.

    All’inizio mio padre non voleva saperne di Radio Taxi: “Io faccio il mio, non mi serve,” ripeteva. Ma io insistevo: “Guarda che ti cambia la vita!” Alla fine lo convinsi e gli diedero la sigla Tango 33, mentre io ero Tango 23. Tutto questo accadeva prima del 2000. Alla fine gli piaceva, anche se non lo avrebbe mai ammesso!

    Quindi avevate una sorta di competizione familiare?

    Fausto: Eh sì, una competizione simpatica. Lui all’inizio pensava che Radio Taxi fosse solo una perdita di tempo, ma poi si è reso conto che con la radio lavoravi meglio: meno chilometri, più corse, niente attese ai posteggi. Dopo, quando la radio aveva qualche problema o non funzionava, sembrava gli mancasse l’ossigeno! Insomma, si era abituato. Era bello, perché alla fine avevamo creato una sorta di squadra: Tango 23 e Tango 33, padre e figlio, ognuno con la sua macchina.

    Mi sembra di capire che le Speakers della radio avessero un ruolo particolare.

    Fausto: Certo! Erano la voce che ti accompagnava tutto il giorno e non avevano peli sulla lingua! Se sbagliavi, ti sgridavano subito: “Ma dove sei finito?” Oppure insistevano con corse che nessuno voleva prendere. All’inizio non ci facevi caso, poi capivi che erano quelle più impegnative. Ma alla fine entravi nella rete, ti chiamavano per nome o per sigla, creando un rapporto umano che oggi, con la tecnologia, è andato perso.

    Ai tempi era tutto più alla buona. Mi ricordo il Bar Lux, vicino alla Stazione Centrale. I tassisti della mattina si trovavano lì prima di iniziare il turno per fare colazione insieme. Se c’era bisogno di taxi in fretta, le speaker telefonavano direttamente al bar: “C’è Alfa 90? Passamelo.” E via, partivano le chiamate. Era un altro mondo, più umano, più semplice. Oggi tutto è veloce, tutto è automatico. Ma quel calore, quelle dinamiche tra colleghi e operatori della radio, quei piccoli riti quotidiani… beh, quelli mancano davvero.

    Tassisti a Milano non era solo una professione, ma un mondo fatto di relazioni, abitudini e piccoli dettagli che rendevano ogni giornata unica.

    Tassisti a Milano: Il Taxi come Luogo di Storie e Relazioni

    Hai raccolto storie, volti e momenti unici durante i tuoi anni al volante. Se chiudi gli occhi e pensi ai racconti di tuo padre e ai tuoi, quale storia o incontro ti ha lasciato un segno particolare, come uomo o come figlio.

    Fausto: Oh, di situazioni ne capitano tantissime. Ogni corsa è diversa e può stravolgere completamente la giornata. A volte fai conversazioni leggere, parli del tempo, delle notizie del giorno. Altre volte, invece, ti trovi davanti a qualcosa di inaspettato: c’è chi sale in macchina e ti dice all’improvviso: “Corra, devo andare in ospedale, mio figlio sta male”. Oppure ti capita un cliente “fuori di testa”, che inizia a parlare senza senso. Devi saper gestire ogni situazione, adattarti al momento.

    Mio papà mi raccontò di una corsa che non dimenticherò mai. Un tipo poco raccomandabile salì in taxi e, dopo un breve tragitto, chiese di fermarsi un attimo per comprare le sigarette. Scese dall’auto, lasciando sul sedile posteriore una pistola in bella vista. Mio padre non ci pensò due volte: la prese e la nascose in un giornale. Quando il cliente tornò, gli disse senza mezzi termini: “Ma sei matto? Lasci una pistola in giro?” Per fortuna non successe nulla, ma quella storia mi è rimasta impressa.

    Un’altra volta, agli inizi del mio lavoro, mi capitò un episodio assurdo. Una signora salì in taxi con in mano un piatto di ravioli in brodo. Le dissi subito: “Signora, se mi sporca la macchina mi arrabbio”. Lei, senza scomporsi minimamente, mi rispose: “Devo mangiare”. Si mise comoda sul sedile posteriore e, come se fosse al tavolo di casa sua, iniziò a mangiare i ravioli. Io, per tutto il viaggio, controllavo più il retrovisore che la strada! Quando finì, si bevve pure il brodo dal piatto e poi, con tutta calma, lo infilò in borsa. Pagò tranquillamente e se ne andò, come se fosse la cosa più normale del mondo.

    Essere Tassisti a Milano vuol dire anche questo: incontrare persone, raccogliere storie, assistere a momenti di vita unici e imprevedibili, che ti restano dentro per sempre.

    Legami di Famiglia, Legami di Strada

    C’è una sensazione che ti accompagna quando guidi, qualcosa che ti fa sentire parte di una tradizione familiare?
    Se oggi tuo padre fosse accanto a te in auto, cosa gli diresti?

    Fausto: Gli direi che i suoi erano tempi migliori. Ora il lavoro è più individualista, non c’è più lo stesso spirito di squadra. Mi piacerebbe averlo accanto almeno per un giorno, fargli vedere quanto è cambiata Milano.

    Quando lui lavorava, si poteva girare ovunque: Corso Vittorio Emanuele, San Babila, Piazza Beccaria. Adesso è tutto pedonalizzato, pieno di restrizioni per i taxi. Troppe limitazioni, troppe corsie vietate. È chiaro che così diventa sempre più difficile offrire un buon servizio. Prima, forse, si guadagnava meno a corsa, ma c’era più libertà di movimento e si facevano molte più corse.

    Mi ricordo il suo posteggio preferito, vicino al bar Le Tre Gazzelle, frequentato da belle donne. Era giovane, e gli piaceva stare lì. Oggi gli direi: “Guarda qui, non si può più fare. Guarda là, non si può più passare.” Mi immagino già i suoi commenti, il suo disappunto.

    Però sarebbe bello poterlo portare in giro, mostrargli tutto quello che è cambiato e fargli vedere le cose che lui faceva ogni giorno e che oggi non si possono più fare. I tassisti a Milano oggi vivono un contesto completamente diverso rispetto a una volta, con nuove sfide e regole sempre più stringenti. Ma nonostante tutto, la passione per questo mestiere resta la stessa.

    Essere Tassista a Milano: Un Ponte tra Passato e Futuro

    Essere tassisti a Milano non è solo un mestiere, ma una vera e propria esperienza di vita. Ogni giorno si attraversano strade, si incontrano persone, si ascoltano storie e si assiste ai cambiamenti della città. Per Fausto, questa professione rappresenta molto di più di un semplice lavoro: è un’eredità familiare, un legame con il passato e un ruolo che continua a evolversi con il tempo.

    “Per me, essere Tassisti a Milano è come essere un ponte: colleghi storie, persone e luoghi, lasci un segno e ti porti via qualcosa da ogni corsa.”

    La memoria del mestiere passa anche attraverso i dettagli, come le auto che hanno segnato ogni fase della sua carriera. Tra tutte, la sua preferita è stata la Mercedes Station Wagon, un’auto affidabile, spaziosa e resistente, perfetta per il lavoro. Ma anche i colori dei taxi raccontano il cambiamento della città: dal verde e nero dei tempi di suo padre, al giallo degli anni ’80, fino al bianco attuale. Ogni epoca ha avuto il suo segno distintivo, così come ogni generazione di tassisti ha vissuto il proprio modo di stare sulla strada.

    Tassisti a Milano due Generazioni al Volante Fausto - Mercedes 1991
    Fausto (1991) Mercedes Station Wagon, il suo Taxi preferito

    Nonostante le trasformazioni della professione, la vera essenza del mestiere resta: incontri, relazioni e capacità di adattamento. Fausto ha vissuto in prima persona questa evoluzione tra nuove tecnologie e regole più rigide. Ma una cosa non cambia mai: l’esperienza e l’umanità che ogni tassista porta con sé

    “Sai qual è la verità? Un tempo conoscevi tutti, colleghi, clienti abituali, perfino le speaker della radio. Ora è tutto più freddo, più veloce. Ma quando chiudo la portiera e riparto per la prossima corsa, sento ancora quello che sentiva mio padre: il gusto della strada, la voglia di fare bene il mio lavoro. Perché alla fine, tassista non lo fai. Tassista, lo sei.”

    Questa è solo la prima parte del viaggio. Nel prossimo articolo “Tassisti a Milano: Ogni Corsa, una Nuova Storia”, entreremo ancora più nel vivo della storia di Fausto: scopriremo la sua formazione, i valori che lo guidano e gli episodi più incredibili vissuti dietro al volante. Quali sono le sfide di un tassista oggi? Come è cambiato il mestiere nel tempo? E quali storie si nascondono tra un tragitto e l’altro?.

    🚖 Non perderti la seconda parte di questa intervista e scopri cosa significa davvero essere Tassisti a Milano!

  • Medici in Prima Linea: Valori e Valore

    Medici in Prima Linea: Valori e Valore

    Medici in Prima Linea: Valori e Valore è un titolo che riassume il cuore di questa trilogia di interviste, dedicata alla vita professionale di Gianluca, medico di pronto soccorso, e ai valori che emergono dalle sue esperienze quotidiane. Nei due articoli precedenti abbiamo esplorato il ruolo del medico nella gestione delle emergenze e l’importanza del supporto umano in contesti critici.

    In questa terza intervista ci concentreremo sul periodo del Covid-19, una sfida senza precedenti che ha messo alla prova non solo la preparazione tecnica dei medici in prima linea, ma anche la loro capacità di resistere emotivamente, dimostrando Valori fondamentali come il coraggio e l’empatia.

    Il periodo del Covid-19

    Quei mesi sono trascorsi come se fossero un unico, lungo giorno. Parlo dei primi quattro o cinque mesi, in particolare della prima ondata. Lavoravo a San Donato, una delle prime zone colpite in Italia, paragonabile a Codogno e Lodi. Eravamo già in prima linea prima ancora del lockdown. Ricordo la fatica immane: camminavamo tra i sacchi neri contenenti i corpi delle persone decedute, che venivano lasciati momentaneamente al pronto soccorso. Era surreale e devastante.

    esperienze sul campo…

    Una delle esperienze che più mi ha colpito è stata comunicare la morte ai familiari senza poter dare loro la possibilità di vedere i propri cari un’ultima volta.

    Una donna, il cui padre era un ex infermiere in pensione, mi ha ringraziato per la delicatezza con cui le ho dato la notizia della morte. Mi disse: “Non so come fate voi, ma il modo in cui mi ha comunicato la perdita di mio padre è stato di grande conforto per noi”. Ancora oggi mi chiama ogni tanto per sapere come sto.

    Un altro momento significativo è stato quello legato a un amico medico, gravemente malato di polmonite. Non voleva venire in ospedale per paura di finire in rianimazione. Io e una collega di chirurgia siamo andati a prenderlo forzatamente, convinti che se non lo avessimo fatto, sarebbe morto. È stato un periodo in cui ho visto la paura negli occhi di molti colleghi, medici e infermieri, abituati a curare ma timorosi di diventare essi stessi pazienti.

    Medici in Prima Linea Valori e Valore - Gianluca Macario
    Medici in Prima Linea Valori e Valore – Gianluca Macario – Periodo Covid-19

    L’aspetto della Morte: Valori e Valore

    Il mio rapporto con la morte non è mai cambiato. Ogni volta che un paziente muore, mi prendo un momento per rivolgermi al defunto, quasi a rendergli omaggio. Non importa se ci sono parenti presenti o se il paziente è solo: io sento il bisogno di farlo comunque. Quando ci sono familiari, se li vedo particolarmente sofferenti, cerco di offrire loro conforto; se invece li percepisco distanti o freddi, continuo comunque a sentire il peso della perdita di un essere un umano.

    Una volta ho assistito un uomo solo, un ex batterista che aveva suonato per un famoso cantante italiano agli inizi della sua carriera. Era in fin di vita, senza parenti accanto. L’ho seguito per ore, ascoltando la sua storia. A un certo punto, senza che io gli avessi detto nulla di me, mi ha chiesto: “Ma lei è un musicista?”. Rimasi sorpreso e gli chiesi come avesse fatto a capirlo. Mi rispose che era evidente dal modo in cui mi relazionavo con lui. Alla fine, quella notte morì, e io rimasi segnato profondamente da quella esperienza.

    riflessione di Valori e Valore…

    Non è vero che ci si abitua alla morte. Ho colleghi bravissimi dal punto di vista tecnico, ma che si sono lasciati consumare da questa professione e hanno perso dei Valori e Valore. Sono diventati freddi, distaccati, forse per proteggersi dal dolore. Io credo invece che mantenere l’umanità sia fondamentale, anche se richiede grande forza. Ogni giorno è una sfida, e bisogna avere il coraggio di rinnovare continuamente questa scelta.

    Medici in Prima Linea Valori e Valore uno sguardo
    Medici in Prima Linea Valori e Valore: uno sguardo umano

    Non ho paura di mostrare le mie emozioni. Quando una storia mi colpisce particolarmente, non esito a ritirarmi per qualche minuto, magari in bagno, per lasciarmi andare alle lacrime. Non è debolezza, è il mio modo di restare umano in un lavoro che potrebbe facilmente portarti a perdere te stesso.

    Credo che il compito del medico non sia solo curare, ma anche esserci. A volte non servono parole, basta la presenza, il far sentire che non sei solo in quel momento. È un equilibrio difficile, ma è quello che rende questa professione così preziosa e unica, ricca di Valori e Valore.

    Il Futuro del Pronto Soccorso

    Il futuro del pronto soccorso? Lo vedo complesso, ma inevitabilmente centrale nel sistema sanitario. Stiamo affrontando una carenza cronica di medici di base, che sovraccarica le strutture di emergenza. Questa situazione non riguarda solo l’Italia: è un problema internazionale. Molti paesi stanno cercando di attrarre medici dall’estero, ma la barriera linguistica rappresenta una difficoltà enorme. Il nostro lavoro richiede competenza, ma anche comunicazione efficace con i pazienti. Lo spagnolo o il portoghese possono imparare l’italiano velocemente, ma altre nazionalità faticano ad adattarsi al contesto linguistico e culturale.

    Un tempo, il medico del pronto soccorso era visto come un ripiego, quasi una figura di serie B, per chi non riusciva a specializzarsi. Oggi, la realtà è completamente diversa: siamo diventati centrali, una sorta di trait d’union tra il paziente e le diverse specialità. Il nostro compito è gestire il paziente fino a quando non subentra uno specialista, inquadrando il caso e fornendo il primo intervento cruciale.

    il futuro…

    In futuro, vedo un pronto soccorso sempre più strategico. Dobbiamo essere un po’ medici di base, un po’ medici d’urgenza, e anche consulenti clinici. La nostra funzione è diventata quella di un filtro, evitando che lo specialista venga chiamato inutilmente. Un tempo, questo ruolo era svolto dai medici di famiglia, che oggi sono sempre meno.

    Dobbiamo accettare che per almeno un decennio questa carenza non sarà risolta. La formazione di nuovi medici richiede tempo, e nel frattempo toccherà a noi reggere il peso di questa situazione. È fondamentale che il nostro ruolo venga riconosciuto e valorizzato, perché siamo noi i primi a fare la differenza quando un paziente varca la soglia del pronto soccorso.

    E non è solo una questione tecnica: è una questione di umanità, di Valori e Valore della Persona. Come mi diceva un mio vecchio maestro: “il Medico del Pronto Soccorso non è una figura di ripiego, ma il cuore pulsante dell’intero sistema sanitario.” Oggi quel pensiero si sta realizzando, e il nostro lavoro non è mai stato così prezioso.

    Valori e Valore per i Giovani Medici

    Non saprei cosa dirgli, se non di chiedere a se stesso il motivo per cui vuole farlo. Se riesce a rispondere sinceramente, allora è già sulla strada giusta. Questo lavoro richiede passione, determinazione e una forte capacità di resistenza, sia fisica che emotiva. Non basta essere bravi tecnicamente: bisogna essere pronti a entrare in empatia con il paziente e con i suoi familiari, a gestire momenti di altissima tensione senza perdere lucidità.

    Nel corso degli anni, molti giovani medici mi hanno chiesto come sia il mio lavoro. Parlando con me, alcuni di loro si sono appassionati e hanno deciso di seguire questa strada. Credo molto nel valore della comunità e della condivisione delle esperienze: per questo ho creato un gruppo dedicato ai giovani medici di pronto soccorso che si chiama: ANMOS. Ci confrontiamo, ci sosteniamo a vicenda e lavoriamo per migliorare costantemente le nostre competenze.

    Un aspetto fondamentale che consiglio a tutti è di non isolarsi mai. Questo mestiere può logorarti se non trovi un equilibrio e non condividi il peso emotivo con qualcuno. Io stesso, periodicamente, parlo con uno psicologo: è un modo per non farmi consumare dal lavoro e continuare a svolgerlo al meglio.

    In definitiva, il mio consiglio è questo: se senti di voler fare il medico di pronto soccorso, fallo con tutto te stesso, ma ricordati che non sei solo. Cerca il supporto dei colleghi, delle persone care e, soprattutto, non smettere mai di chiederti perché hai scelto questa strada. La risposta ti guiderà anche nei momenti più difficili.

    Ritrovare il Valore e i Valori attraverso la Narrazione

    “Mi ha fatto molto bene. Non è stato solo un racconto, ma una revisione, quasi una catarsi. Hai saputo farmi le domande giuste, costruendo un percorso che ha dato ordine ai miei pensieri. Mi sono ritrovato in questa narrazione, e credo che un giorno potrei scrivere una Biografia Pedagogica della mia vita professionale. Raccontare la propria storia è terapeutico. Oggi ho rivissuto momenti importanti, ma sempre con uno sguardo rivolto al futuro”.

    La forza di un’intervista come questa sta proprio nella sua capacità di far emergere i Valori ed il Valore della persona, anche quelli più profondi. Ogni narrazione è un viaggio, e in un’ora si può scoprire tanto di sé, ritrovando significato e nuove consapevolezze. Questo è il potere delle Biografie Pedagogiche: tra un colloquio e l’altro c’è un momento di riflessione, di backtalk, dove le persone entrano in contatto con ciò che hanno detto, con la loro storia e con il Senso del loro Vissuto.

    Se vuoi vivere un’esperienza simile, scrivere la tua biografia o Iniziare un percorso di narrazione personale, Contattami per un colloquio-intervista. Raccontare è un modo per Ritrovarsi e per Lasciare un Segno.

    #esperienzanarrata di Maria Adelaide Macario
  • Empatia e Resilienza: Curo le Persone Ascoltando Me Stesso

    Empatia e Resilienza: Curo le Persone Ascoltando Me Stesso

    La vita di un medico di pronto soccorso è segnata da un continuo susseguirsi di sfide, situazioni critiche e incontri umani che lasciano un segno indelebile. “Empatia e Resilienza: Curo le Persone Ascoltando Me Stesso” non è solo un titolo, ma una filosofia che Gianluca, medico di pronto soccorso, incarna ogni giorno nel suo lavoro. Questo articolo si collega al precedente, “Coraggio e Umanità: da manager a Medico d’urgenza”, in cui abbiamo iniziato a conoscere il suo straordinario percorso di vita. Attraverso le sue parole, ora esploriamo più a fondo la sua esperienza, fatta di emozioni, dedizione e resilienza, per riflettere sull’importanza dell’empatia e del rapporto umano nel contesto sanitario.

    Empatia e Resilienza: le Relazioni con i Pazienti

    Il nostro compito è accogliere le persone nel momento della sofferenza, non soltanto trattare la patologia. Spesso, il paziente arriva con un dolore senza una spiegazione organica evidente, ma questo non significa che la sua sofferenza sia meno reale. C’è una grande differenza tra curare una malattia e prendersi cura di una persona: il medico che si focalizza solo sull’organo può essere un ottimo specialista, ma rischia di perdere di vista il paziente e le sue necessità.

    Non possiamo squalificare un paziente solo perché non rientra nei criteri di un’urgenza immediata. Dobbiamo accogliere la sofferenza nella sua totalità, che sia fisica o psicologica. Tutti i pazienti meritano rispetto e comprensione. Il nostro lavoro non è giudicare, ma offrire aiuto nel momento di massima fragilità.

    Anni fa imparai un concetto importante dai ricercatori statunitensi David C. Slawson e Allen Shaughnessy: il ‘Patient-Oriented Evidence’ (POE) contrapposto al ‘Disease-Oriented Evidence’ (DOE). Il DOE si concentra sui parametri clinici e sui meccanismi della malattia, mentre il POE riguarda ciò che conta davvero per il paziente, come la qualità della vita e la sopravvivenza. Questo approccio aiuta a mantenere il focus sul paziente, anche quando ci si concentra sulla patologia. Il rischio è proprio quello: diventare bravissimi tecnici, ma dimenticare di trattare il paziente nel suo insieme.

    Quando mi trovo di fronte a pazienti in stato di agitazione per abuso di sostanze o con disturbi psichiatrici, li accolgo per quello che stanno vivendo. Non è semplice, soprattutto in pronto soccorso, dove i ritmi sono serrati e la pressione è alta. Mantenere un atteggiamento rispettoso è fondamentale.

    Empatia come Strumento Professionale

    L’empatia è fondamentale. Se mentre stai lavorando su un caso arriva l’infermiere/a che ti dice, ‘Guardi, il parente richiede un’informazione’, devi trovare il modo di prenderti un momento e uscire a parlare con quel parente. Altrimenti lui, continuerà ad agitarsi, e basta poco per calmarlo. Anche solo dire: ‘Guardi, è stabile. Poi vengo a informarla’ lo fa stare tranquillo.

    “Se invece lo lasci lì, quella tensione cresce, e in sala d’aspetto rischia di esplodere. Basta poco, un momento per dire: ‘Guardi, posso capirla, sto seguendo suo figlio, sto seguendo suo padre’, e già si tranquillizzano. Questa è empatia.

    Empatia e Resilienza: Insegnamenti dai Pazienti

    Sì, molte volte. Ogni paziente ha una storia che può insegnare qualcosa, anche attraverso una critica costruttiva. Mi ricordo una volta, era inverno, in pieno periodo Covid. Dopo un turno notturno sono entrato in un bar. Il barista mi ha riconosciuto e mi ha mostrato il dito che gli avevo ricostruito. Ricordava perfettamente quel momento e mi ha ringraziato. Sono attimi come questi che danno senso al nostro lavoro.

    In ogni situazione, anche nei contesti più difficili come durante il Covid, sono emersi momenti che ci hanno fatto capire quanto l’empatia sia fondamentale nel percorso del medico. Un semplice gesto, un intervento riuscito, possono lasciare un segno indelebile nelle vite dei pazienti, ma anche in quella del medico stesso. Questi insegnamenti, che arrivano spesso in modo inatteso, rafforzano la resilienza necessaria per affrontare il continuo susseguirsi di sfide nel pronto soccorso.

    La Resilienza del Medico Gianluca

    Fisicamente mangio bene e faccio esercizio. Alcune volte di più, alcune volte di meno, ma sempre. Quando facevo Tai Chi con mia figlia, Ilaria e suo marito Eugenio, era molto meglio. Era bello farlo insieme al mattino, poi ho smesso di praticarlo regolarmente, ma adesso vorrei riprendere. La strategia è muoversi, mangiare bene, idratarsi e stare in un ambiente positivo.

    Dal punto di vista emotivo, ho i miei figli. Loro sono la mia linfa vitale. Più passa il tempo, più mi accorgo di quanto siano fondamentali per la mia forza interiore. Non li ho mai abbandonati, sono sempre stati la mia priorità, anche durante i periodi più impegnativi della mia carriera.

    Empatia-e-Resilienza-Curo-gli-altri-Ascoltando-Me-Stesso-tai-chi
    Tai-chi Ascoltando di Me Stesso

    Empatia e Resilienza: Motivazione e Passione

    Ho iniziato come ricercatore, non medico, ma studioso di medicina, prestato alla medicina con dei risultati incredibili in campo farmacologico. Questa esperienza mi ha dato un metodo di studio che mi accompagna ancora oggi. Ho avuto la fortuna di lavorare con personaggi come Silvio Garattini e Alessandro Nobili, che mi hanno insegnato tantissimo. Poi c’è stata l’esperienza da nutrizionista, con un’idea originale sulla Piramide Calorica che è ancora in stand by, ma spero possa diventare la chicca della mia carriera.”

    E la passione, perché questo lavoro è bellissimo. Essere medico di pronto soccorso è un lavoro spesso squalificato da tutti. Non sei né carne né pesce: gli specialisti ti vedono così. Ma la realtà è che, se lo fai bene, anche loro te lo riconoscono e vengono a cercarti. Per cui, nonostante le difficoltà e la pressione, non riesco a farne a meno. Questo è il mio posto, e continuerò a farlo finché potrò. Ora si può lavorare fino a settant’anni, io ne farò 60 fra qualche giorno e so che continuerò ancora per un bel po’!

    Empatia e Resilienza in Prima Linea

    Attraverso il racconto di Gianluca, emerge un quadro autentico e toccante del mondo del pronto soccorso, dove la tecnica medica si intreccia con l’umanità, e l’empatia diventa una competenza imprescindibile. La sua storia è un inno al coraggio, alla empatia e resilienza e alla capacità di vedere oltre la patologia per prendersi cura della persona nella sua interezza.

    Nel prossimo e ultimo articolo ci concentreremo sul periodo Covid, un momento che ha messo a dura prova la capacità di resistere e di prendersi cura degli altri, spingendo i medici oltre ogni limite umano.

    Alla fine, quello che resta davvero è quanto hai saputo ascoltare, capire e accogliere nel momento del bisogno.

    Gianluca Macario
  • Coraggio e Umanità: da Manager a Medico d’Urgenza

    Coraggio e Umanità: da Manager a Medico d’Urgenza

    Da Manager a Medico d'Urgenza Gianluca Macario

    Coraggio e umanità sono le parole chiave di questa intervista a mio fratello Gianluca. È medico di pronto soccorso da oltre 13 anni. Questo articolo è il primo di tre parti. Racconta una storia complessa, suddivisa in sei argomenti con domande mirate.

    Come intervista a nostra madre, emerge il legame familiare. Questo arricchisce il dialogo e mantiene una prospettiva professionale. L’obiettivo è dare voce a storie di vita significative. Raccontare esperienze preziose, anche se i protagonisti non sono celebri.

    Ognuno di noi porta con sé scelte e vissuti difficili. Questi possono ispirare e creare connessioni emotive profonde. Questi racconti valorizzano il potenziale umano. Ogni persona ha qualcosa di valore da comunicare, anche attraverso momenti difficili.

    Chi è Gianluca Macario: Coraggio e Umanità

    Ho iniziato tardi il mio percorso in medicina, a quarant’anni. Prima ero dirigente aziendale e nutrizionista. Nonostante il successo, sentivo che mancava qualcosa. La nutrizione si basa su conoscenze mediche, ma non affronta patologie come ipertensione, diabete o infarto. Mi sono chiesto: “Perché non sfruttare la laurea in medicina per fare di più?”

    La svolta è arrivata con un evento tragico. Mentre lavoravo come medico di guardia a Turate, mi trovai coinvolto in un incidente in moto. Un ciclista perse la vita. Anche se non avevo colpa, quell’episodio mi segnò profondamente. Ero impossibilitato a soccorrerlo e la dottoressa del 118 mi confermò che il trauma era troppo grave. Da quel momento decisi di diventare un medico d’urgenza.

    Nei due anni successivi affinai la mia capacità di gestire le emergenze. Imparai a valutare, trattare e monitorare i pazienti senza inviarli subito in pronto soccorso. Questo approccio attirò l’attenzione della direzione sanitaria di Como, che riconobbe il mio modo di inquadrare le situazioni cliniche.

    Poi, una mia amica, direttrice sanitaria a San Donato, mi propose un’opportunità. Anche se avevo timori, accettai. Quei due anni di esperienza e il ricordo di non aver potuto agire in passato mi portarono a questa scelta. La medicina d’urgenza è diventata il mio modo di essere medico. Unire esperienza, preparazione e prontezza mi ha dato la consapevolezza di poter affrontare qualsiasi emergenza.

    Coraggio e Umanità in un Campo di Battaglia

    Un campo di battaglia. Sebbene sia contrario alla guerra, questa immagine rende bene l’idea del lavoro al pronto soccorso. Ogni giorno affrontiamo situazioni caotiche, spesso disperate, dove i pazienti portano con sé le conseguenze di una guerra personale: contro una malattia, un incidente, o anche contro la propria fragilità. Noi medici siamo lì, senza armi, ma con tutto ciò che serve per salvare e difendere la vita. È questo che ci distingue dai soldati: loro distruggono, noi preserviamo. Durante il Covid, questo aspetto è stato ancora più evidente. Eravamo davvero in prima linea, raccogliendo i cocci, ma sempre con l’obiettivo di proteggere ciò che conta di più, la vita.

    La Prima Notte in Pronto Soccorso: Vissuto ed Emozioni

    La mia prima esperienza in pronto soccorso è stata indimenticabile, un vortice di emozioni e sfide inaspettate. Durante un corso di psicoterapia, ci chiesero di raccontare un evento significativo della nostra carriera. Non ebbi dubbi: il mio primo turno in pronto soccorso rappresentava perfettamente la miscela di paura, eccitazione e incertezza che avevo provato.

    Ricordo che per un disguido, mi assegnarono un turno notturno anziché di giorno. Di giorno hai sempre il supporto dei colleghi, ma di notte sei solo. Non c’è un radiologo presente, i colleghi sono reperibili ma lontani. Ogni decisione pesa sulle tue spalle. L’ansia era tangibile, ma insieme ad essa avvertivo una strana energia che mi spingeva avanti.

    La mia fortuna fu incontrare un’infermiera straordinaria, una donna rumena con un’esperienza incredibile. Si era formata in una scuola infermieristica di altissimo livello. Mi prese per mano e disse: “Dottore, non si preoccupi. Segua le mie indicazioni e andrà tutto bene.” La sua calma e sicurezza furono un’ancora per me. Mi guidò non solo nelle procedure tecniche, ma anche nel mantenere la lucidità in un ambiente frenetico.

    Il mio background informatico e aziendale fu un altro vantaggio. Grazie a queste competenze, imparai subito a usare i software gestionali del pronto soccorso. Questo mi permise di ridurre il tempo dedicato alla burocrazia e concentrarmi sui pazienti.

    Quella notte non fu particolarmente impegnativa a livello clinico, ma lo fu emotivamente. Ogni paziente che arrivava mi ricordava l’importanza del mio ruolo. Ogni decisione era carica di responsabilità. La lezione più grande che porto con me è il Valore della collaborazione. Quell’infermiera è diventata una mia amica e ancora oggi ci sentiamo. Mi ha insegnato che in pronto soccorso non si lavora mai da soli. La fiducia e il sostegno del team sono fondamentali.

    La mia prima notte è stata una lezione di Coraggio e Umanità. Il pronto soccorso non è solo un luogo dove si salvano vite. È un posto dove si costruiscono legami profondi e indissolubili.

    Coraggio e Umanità: Da Manager a Medico D'Urgenza -Gianluca Macario
    Coraggio e Umanità: Da Manager a Medico D’Urgenza -Gianluca Macario

    Valore dell’Esperienza v/s Titoli Accademici

    La sfida più grande? Confrontarmi con un mondo accademico che valorizza i titoli più dell’esperienza pratica. Mi sono laureato a 40 anni, mentre molti colleghi completano il percorso a 26. Hanno specializzazioni e master, un vantaggio che ho colmato con la pratica. Ho recuperato con una velocità che definirei straordinaria.

    Prima della laurea, avevo già esperienze significative. Ho collaborato con ambienti iper-scientifici come Micromedexe pubblicato articoli su riviste internazionali, tra cui il British Medical Journal. Una di queste pubblicazioni è diventata la mia tesi. Queste esperienze hanno rafforzato la mia base teorica, ma non hanno cancellato quel senso di inferiorità verso chi aveva seguito un percorso accademico tradizionale.

    Entrando in pronto soccorso, ho sentito il peso di questo pregiudizio. Alcuni datori di lavoro vedevano la mia età come una debolezza, come se l’esperienza valesse meno di un titolo. Ma ho scelto di rispondere con i fatti. Negli anni ho trattato migliaia di pazienti, affinando la capacità di valutare e gestire le emergenze con efficacia.

    La pratica quotidiana mi ha insegnato che la competenza non si misura solo con i titoli. Conta la capacità di affrontare ogni situazione con lucidità e responsabilità. A volte il confronto con i giovani specialisti è stato una sfida, ma molti di loro hanno riconosciuto il valore della mia esperienza. Hanno scelto di confrontarsi con me per arricchire la loro formazione. Questo è il riconoscimento più grande, quello che ripaga ogni sforzo.

    Alla fine, la medicina è fatta di preparazione, dedizione e risultati concreti. Ed è questo che porto con me, ogni giorno, nel mio lavoro.

    Coraggio e Umanità: La Verità Narrativa di Gianluca

    Questo primo capitolo dell’intervista, “Coraggio e Umanità: da Manager a Medico d’Urgenza”, ci ha guidato attraverso le scelte e i momenti iniziali che hanno plasmato il percorso di Gianluca. La sua storia è una testimonianza di Coraggio nel reinventarsi e di Umanità nell’affrontare ogni giorno il pronto soccorso con dedizione e passione.

    Per raccontarla, ho adottato il metodo delle Biografie Pedagogiche, basato su un ascolto attivo e una trascrizione fedele delle parole dell’intervistato, senza interpretazione. Questo approccio rispetta e valorizza la Verità Narrativa, quel sapere personale e condiviso che attraversa il tempo, preserva la memoria e l’autenticità delle esperienze umane.

    Nel prossimo capitolo esploreremo le difficoltà e le sfide che Gianluca ha affrontato, scoprendo come ha saputo trovare equilibrio tra empatia, resilienza e pragmatismo.

    Non perdere il seguito di questa storia di Coraggio e Umanità, che ti emozionerà e ispirerà.

#esperienzanarrata
Panoramica privacy

This website uses cookies so that we can provide you with the best user experience possible. Cookie information is stored in your browser and performs functions such as recognising you when you return to our website and helping our team to understand which sections of the website you find most interesting and useful.