Rinascita di Simone: Unione tra Zen Shiatsu e Amore

Rinascita di Simone: unione tra Zen Shiatsu e Amore. Dopo un incidente in moto ha perso la vista, ma ha ritrovato il coraggio di vivere pienamente. Il Matrimonio con Claudia

Rinascita di Simone: unione tra Zen Shiatsu e Amore. Dopo un incidente in moto ha perso la vista, ma ha ritrovato il coraggio di vivere pienamente.

Questa intervista è stata realizzata seguendo il metodo delle Biografie Pedagogiche: un approccio narrativo e relazionale che dà voce alle persone, valorizzando i loro vissuti, le memorie, le trasformazioni.

Ho voluto incontrare Simone dopo che mio cognato Fausto, il tassista mi aveva raccontato del suo entusiasmo nel leggere la sua storia e del desiderio di raccontare anche la propria.
Mi ha colpito subito l’idea che un’altra vita, apparentemente molto diversa, potesse entrare in risonanza e generare connessione.

È stato un sabato pomeriggio qualunque. Ci siamo sentiti, e poche ore dopo ero già a casa di Simone e Claudia, accolta da entrambi con gentilezza e ospitalità.

Quella che ho ascoltato è una storia ricca di colpi di scena e coincidenze.
Una storia di vita di quelle che non si dimenticano.
Intrisa di pathos, resilienza, amore e forza di andare avanti.

Un insegnamento per tutti noi.
Forse sarà ancora più intensa per chi ha già conosciuto la sofferenza, per chi non si ferma alla superficie ma ha imparato ad andare in profondità, dentro di sé e nelle vite degli altri

Auguro a tutti una buona lettura, in compagnia di Simone: un uomo che ha scelto di raccontarsi con autenticità e con sincero coraggio del cuore.

Ci ritroveremo alla conclusione.

L’Identità di oggi: Simone

Simone: Molte persone, quando ascoltano la mia storia, mi dicono: “Se fossi stato al tuo posto, mi sarei arreso.”
E invece no. Mi chiamano miracolato. E forse lo sono. Ma prima di tutto sono una persona con un carattere molto forte.

Non lo sapevo, prima. Prima di perdere la vista non immaginavo nemmeno di avere dentro di me tanta forza.
Sono rinato nel 2006. Avevo già spiccato il volo verso una vita benestante, poi il destino ha tracciato per me un’altra rotta. Mi ha tagliato le ali.
Mi sono risvegliato in ospedale e ho dovuto ricominciare tutto da capo.

E posso dirlo: oggi, forse, avrei quasi paura a riprendere a vedere. Perché nella condizione in cui sono adesso, io mi sento bene.

Nel quotidiano? Ho avuto la fortuna di seminare bene. Ho sempre coltivato le amicizie con sincerità. Non ho scheletri nell’armadio, e quello che ho dato, in qualche modo, mi è tornato indietro.
Ci sono tante persone che mi stanno vicino. E poi ho avuto la fortuna di incontrare mia moglie Claudia: dall’altra parte del mondo, con una lingua e una cultura diversa. È stato l’Amore, quello vero, a unirci e a guidarci. E insieme abbiamo creato una famiglia con una figlia fantastica, Susanna.

Ogni giorno lo affronto con gratitudine e presenza. Perché la vita va vissuta pienamente, e ogni attimo può essere un dono… se ci metti Amore.

La trasformazione: prima l’incidente

Simone: Prima dell’incidente… oggi direbbero che ero un nerd. Mi appassionava tutto quello che veniva dal Giappone: noi degli anni ’70 siamo cresciuti con i loro cartoni, le loro tecnologie, i videogiochi.
Amavo i computer, la grafica… avevo una macchina giapponese, ovviamente! Il mio sogno era andare in Giappone. Era il mio obiettivo di vita.

Mi piaceva anche rendere felici gli amici con piccole attenzioni. Era la mia motivazione, non so come spiegarlo. Era il mio modo di esprimere affetto e amore, attraverso gesti semplici ma sinceri. Alcuni mi dicevano: “In certi contesti esageri,” ed io rispondevo: “Si vive una volta sola, e se non faccio male a nessuno, perché trattenermi?”

Mi sono diplomato in ragioneria come analista contabile, ma ho poi studiato anche grafica e Photoshop all’Istituto Europeo del Design. Ho sempre avuto tanti interessi. Sono multitasking e ancora oggi: faccio impianti audio, gestisco il mio telefono in autonomia. Non mi sono mai fatto fermare dalle difficoltà.

….e dopo l’incidente

Simone: L’incidente è avvenuto nel novembre 2005, proprio il giorno in cui avevo ritirato il “bollettone” per la licenza da tassista.
Stavo andando a prendere dei biglietti per un viaggio a Zanzibar. Scelsi la moto, non la macchina. Poi… tutto cambiò in un istante.

Una Citroën XM Station Wagon si mise di traverso sulla strada. Tentai di evitarla, frenai, ma l’impatto fu violentissimo.
Sbattei la testa, il gomito, il ginocchio, le costole. Il manubrio mi lesionò la vena del mesentere.
Mi hanno salvato per miracolo: un’automedica passava di lì per caso. Fui intubato e trasportato d’urgenza al Niguarda. Senza quell’intervento immediato, sarei morto dissanguato.

Ho subito 14 operazioni all’intestino. Oggi ho un tratto intestinale di appena 70 cm, contro i 9 metri normali.
Per mesi ho vissuto grazie alla nutrizione parenterale, con un ago nel petto da cambiare ogni cinque giorni.
Una dottoressa straordinaria, credette in me. Provò a farmi tornare a nutrirmi per bocca — e ci riuscì.
Diceva: “Non ho mai visto nessuno reagire così.”

Mi ha persino chiesto il permesso di raccontare la mia storia in un libro. Ma non l’ho mai nè ritirato nè letto.
Forse perché, in quel momento, volevo solo tornare a casa. Tornare a una parvenza di vita. Tornare dove ci fosse anche solo un riflesso d’amore.

L’oscurità e la luce

Simone: Era febbraio 2006. Mi svegliai dal coma farmacologico. Ero confuso, sotto morfina… pensavo di essere al mare. Mia madre cercava di spiegarmi piano piano la realtà.

I medici dicevano: “Per ora sei non vedente, ma forse a ottobre potresti riprendere un po’ a vedere, anche solo sfocato.” Mi hanno un po’ illuso.

Poi, nel tempo, ho girato vari centri, sperando in una risposta diversa. A Ginevra, invece, sono stati molto chiari: “C’è un’atrofia del nervo ottico. Potremmo trovare qualcosa tra dieci, quindici anni… forse.”

E lì ho capito. Ma non mi sono buttato giù.

Ho iniziato a cercare altro. Una nuova prospettiva. E con fatica, ho trasformato l’oscurità in un’occasione per guardarmi dentro. Per riconoscere ciò che davvero conta: la forza, le relazioni, l’amore per la vita stessa.

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Reinventarsi: riprogettare la vita

Simone: Io sono una persona che non sa stare fermo.

Prima dell’incidente lavoravo nel CED di un’azienda, la Verde Blu, a Rho. Non era un lavoro da scrivania: avevo una certa libertà, uscivo anche con gli operatori, facevo i controlli, mi tenevo attivo.

Poi, nell’agosto 2006, mi ritrovai a casa, senza poter più fare quello che facevo prima. E lì capìì che dovevo trovare un modo per tenermi impegnato, per non lasciarmi andare.

All’inizio ero spaesato. Avevo passato mesi in ospedale, e in seguito ebbi anche una crisi epilettica. Nel 2010 lasciai la mia ex compagna dopo una relazione lunga. Non era più la strada giusta, mancava l’amore.

E così ho cominciato a guardarmi dentro e a pensare davvero a come reinventarmi.

Ho investito con attenzione i soldi dell’assicurazione, ho comprato casa. E ho iniziato a chiedermi, con coraggio e voglia di riscatto:
“Cosa posso fare ora? Cosa posso imparare di nuovo?

Il cammino verso lo Zen Shiatsu

Simone: Bellissimo questo… Lo Zen Shiatsu è arrivato proprio quando non sapevo più che direzione prendere. Un momento sospeso, in cui cercavo qualcosa che avesse senso.

È stata una mia amica a parlarmene. Mi disse che stava frequentando una scuola di Zen Shiatsu a Milano e che aveva chiesto al suo maestro se avrei potuto partecipare, anche se non vedente. Lui rispose subito: “Ma certo! Deve venire”.
Il maestro si chiama Carlo Tetsugen Serra – vuol dire “fonte di ferro” – e arrivava da un’esperienza monastica. In lui percepii subito quella calma profonda, quell’autenticità che mi serviva in quel momento.

Iniziai il percorso senza sapere dove mi avrebbe portato, ma sentivo che lì c’era una possibilità di cura, e forse anche di amore verso me stesso.

Uno spazio di percezione nuova

Simone: La cosa straordinaria? I primi a praticare lo Shiatsu erano proprio i non vedenti. Nacque in Cina, con il nome di Anma, poi si diffuse in Giappone. Alcuni praticanti furono esclusi per mancanza di rispetto verso il corpo dell’altro, ma chi proseguì con disciplina e integrità ha mantenuto vivo un cammino fatto di ascolto profondo e attenzione per l’altro.

Io ho studiato seguendo il metodo di Masunaga, uno dei grandi maestri. E devo essere sincero: ero e sono avvantaggiato. Non perché non vedo, ma perché sento di più. È un’altra forma di percezione, più sottile, più profonda.

Simone: Esatto! È incredibile, no?
Il Giappone era il mio sogno prima dell’incidente… e lo Zen Shiatsu me l’ha riportato nella mia vita, in un modo del tutto inaspettato.

Non ci sono mai stato fisicamente, ma è come se ci fossi arrivato spiritualmente.
E poi quella scuola era davvero speciale: il monastero dove si facevano le lezioni era tutto in legno, con pavimenti in tatami, pareti scorrevoli di carta di riso, e silenzio. Solo tè caldo, meditazione e voce bassa.
Uscire da lì era come svegliarsi da un’altra dimensione.

Zen Shiatsu

Simone: Ho studiato per tre anni, presi il diploma di operatore Zen Shaitsu nel 2013. Per imparare, devi prima ricevere. Facevamo esercizi, ci scambiavamo i trattamenti…
Io, lo ammetto, a metà del kata mi addormentavo. Lo Shiatsu ti rilassa così tanto che… anche quando lo pratico sugli altri, glielo dico sempre: “Beato te che lo ricevi!”

È una pratica profonda, che non smetti mai di esplorare. Ha radici buddhiste. C’è un libro che amo, “Le 101 storie Zen”: Racconta la vita nella sua essenza più semplice, più vera.
Lo Shiatsu mi ha insegnato a rallentare, ad ascoltare davvero, a rispettare i ritmi della persona. E soprattutto, mi ha insegnato un amore e rispetto profondo per il corpo umano, inteso come spazio di ascolto e di presenza.

Quando uscivo dal monastero, non volevo rientrare subito nella confusione della città. Era come se lì dentro si respirasse un altro mondo, fatto di silenzio, cura, e presenza.

Simone: Assolutamente sì.
E sai perché? Perché io mi sento come se fossi dietro una parete: voi mi vedete, ma io non vi vedo. E questo cambia tutto.

Non ho più vergogna. Non mi agito. Anche quando mi hanno intervistato in radio, ero tranquillo.
Il mio modo di percepire gli altri passa attraverso il corpo, il contatto, l’energia. E nello Shiatsu questa sensibilità ha un valore enorme. È lì che l’amore per l’altro diventa gesto concreto, ascolto puro.

La mia passione oggi

Simone: Quando pratico lo Zen Shiatsu, cerco di creare uno spazio intimo, dove il tempo rallenta e tutto si fa più silenzioso. Chi si affida a me ha bisogno di ascolto, di rispetto. Ogni corpo parla una lingua unica, e io provo a comprenderla con le mani.

Spesso, dopo il trattamento, le persone restano sul futon. Alcuni si aprono, raccontano. Altri si abbandonano a un sonno profondo. È un incontro di energie, di fiducia reciproca, di presenza autentica.

Non è solo una sequenza tecnica: è un dialogo silenzioso. Uso le mani, i pollici, il corpo intero. Mi muovo in posizioni precise — seiza, arciere, mezzo arciere, birmana — che permettono di entrare in relazione profonda con la persona.
Ogni gesto ha un’intenzione, ogni pressione una direzione. Mentre lavoro, ascolto. E ogni volta, imparo qualcosa.
Perché nel corpo dell’altro si nasconde sempre una storia. E il mio compito è accoglierla, con rispetto e amore.

Il mio modo di “vedere” passa tutto dal tocco. Anche senza parole, so riconoscere se c’è una tensione, una ferita, un trauma.
Questo contatto crea un legame discreto ma forte, fatto di cura e autenticità.

Certo, all’inizio mi sembrava impossibile memorizzare tutti i kata, le posizioni, le sequenze… Ma quando qualcosa ti appassiona davvero, ti insegna anche la costanza. E ti resta dentro.

L’incontro con l’amore e la nascita di una famiglia

Simone: È una storia assurda. In Colombia non volevo neanche andarci.
Ma un amico, Alessandro, che viveva là da anni, continuava a dirmi: “Devi conoscere Patty, Ricordati Patty!”
Alla fine, in estate 2015, sono partito davvero. Prima sono stato in Messico, poi da lui a Medellín. L’ho conosciuta lì, verso fine giugno.

Ci siamo visti poco di persona, perché lei lavorava tantissimo. Ma in quei pochi incontri c’era qualcosa che mi colpiva: era riservata, non facile. Aveva dignità.
Le ho fatto un trattamento di zen shiatsu, ed è stato il nostro primo vero contatto.

A fine agosto sono rientrato in Italia. E da lì abbiamo iniziato a sentirci tutti i giorni su Skype. Tutti i giorni.
Non ci capivamo perfettamente con le parole, ma ci capivamo lo stesso. È quello che chiamo “linguaggio dell’amore”.

A dicembre le ho chiesto di sposarmi.

Rinascita di Simone: unione tra Zen Shiatsu e Amore. Abbraccio tra Claudia e Simone
Rinascita di Simone Amore tra Simone e Claudia

Amore, Simone e Claudia: una rinascita condivisa

Simone: Susanna significa “fior di loto”. Ma la cosa incredibile è un’altra: mia madre aveva sempre sognato di avere una figlia e di chiamarla così. E un altro nome che le piaceva era Patrizia.

Alla fine, ha avuto due figli maschi: io e mio fratello Stefano. La vita comunque le ha fatto un dono inatteso. Mia moglie si chiama Claudia Patrizia. E nostra figlia si chiama Susanna.

Mia madre è stata al settimo cielo. In un colpo solo ha avuto le due figlie che aveva sempre desiderato: la nuora e la nipote, con i nomi che custodiva nel cuore da una vita.

Simone: La paternità ti cambia. Quando tieni tra le braccia un essere vivente da proteggere, capisci che non è più solo la tua vita. Diventi responsabile. Oggi sento che devo durare il più possibile, per lei. Perché l’amore di un padre passa anche da questo: proteggere.

Cosa voglio trasmetterle?
Educazione, rispetto, umiltà. Che impari ad essere generosa e anche discreta, che non viva per apparire, ma per essere.

Io e mia moglie cerchiamo ogni giorno di farle capire che il vero valore non è in ciò che si mostra, ma in ciò che si dona con amore.

Lei è un po’ vanitosa, le piace sentirsi bella, e va bene così.

“Puoi brillare, sì, ma non per quello che mostri. Brilla per quello che sei.”

Rinascita di Simone: unione tra Zen Shiatsu e Amore. Dopo un incidente in moto ha perso la vista, ma ha ritrovato il coraggio di vivere pienamente. Unione di sguardi
Amore e Complicità in uno sguardo

Uno sguardo sul futuro

Simone: Direi: Guarda me.
Guarda la mia situazione. Ascoltala bene. Perché a volte ci lamentiamo per cose piccole, ma se ti fermi un attimo a vedere quello che altri vivono… cambia la prospettiva.

Io lo dico anche agli amici, quelli che mi raccontano problemi con la mamma o con la moglie: “Guarda me.”
Perché il primo problema siamo noi stessi. Se tu hai un conflitto, inizia da te.
La soluzione non è scappare. È parlare. È dialogare, sempre.

E poi bisogna aver voglia di vivere.
Perché dal momento in cui nasci, sai che prima o poi morirai. Allora tanto vale vivere il più possibile, bene.
Essere positivi, fare le cose, provarci.
Se parti pensando “non ce la faccio”, non ce la farai mai.


Ma se hai fame di Vivere, se dici
“Voglio, posso, ci provo”,
allora qualcosa succede. Sempre.

La storia di Simone ci insegna che anche quando la luce viene meno, è possibile vedere più a fondo. Con il corpo, cuore, Amore.

Ogni esistenza porta in sé una forza invisibile, che merita di essere raccontata e custodita.

Se senti che anche la tua storia, o quella di una persona cara, merita voce e ascolto, contattami per un percorso di Biografia Pedagogica. Perché ogni vita ha valore. Ogni memoria è un dono.


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